Se negli anni ’50 del secolo scorso il cinghiale (Sus scrofa) stava quasi rischiando l’estinzione nel nostro Paese, da allora, a causa di introduzioni/re-introduzioni e ripopolamenti a scopo venatorio (sostenuti sia da amministrazioni locali sia attraverso immissioni illegali praticate dai cacciatori), la specie è diventata di fatto problematica, e la sua gestione richiede misure attente e lungimiranti per salvaguardare le coltivazioni e le biocenosi.
Nelle Aree protette nazionali la gestione delle specie problematiche è disciplinata dal comma 4 dell’art. 11 della Legge 6 dicembre 1991, n. 394, “Legge quadro sulle aree protette” (Testo coordinato aggiornato al DPR 16 aprile 2013) che prevede “eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco”, norma che corrisponde alla analoga del comma 6 dell’art. 22 previsto per le Aree protette regionali.
Anche all’interno delle aree protette si stanno pertanto affermando piani di limitazione e controllo che, oltre agli abbattimenti selettivi, tendono ad avvalersi soprattutto della cattura a mezzo di impianti fissi e mobili. Tuttavia il destino degli animali catturati all’interno di queste aree rappresenta un punto critico della gestione, non solo legato all’efficacia di tale prassi, ma soprattutto per ciò che concerne la tutela del benessere degli animali. È infatti sempre più comune assistere alla cessione di cinghiali catturati ad allevamenti di selvaggina, Aziende Faunistico Venatorie e/o Aziende Agri-Turistico Venatorie, ovvero a recinti di addestramento di cani da caccia. Non ultimo appare contrario alle indicazioni di benessere animale anche il trasporto di cinghiali vivi verso impianti di macellazione, in quanto tale aspetto è di fatto escluso dalle normative europee per la tutela del benessere degli animali trasportati e degli animali gestiti nei macelli.
Alla luce di quanto sta accadendo tuttora in alcuni parchi italiani, Mauro Ferri, Roberto Viganò e Elisa Armaroli, membri del direttivo della Società Italiana di Ecopatologia della Fauna, hanno prodotto un report, recentemente pubblicato on-line sulla rivista “Rassegna di diritto, legislazione e medicina legale veterinaria” (Nr 3 – Anno 2018). Attraverso un’attenta disamina sui metodi di contenimento del cinghiale applicati nelle aree protette italiane, gli autori pongono l’attenzione sulle normative nazionali e comunitarie atte a gestire le catture e attività di contenimento della specie con particolare riferimento alla tutela del benessere degli animali, anche nel caso di creazione di una filiera delle carni di cinghiale.
In particolare, nell’articolo si sottolinea come, a prescindere dalle diverse situazioni territoriali, nel caso si voglia destinare alla filiera della carne le specie di fauna viventi allo stato selvatico, il Reg. (CE) 853/2004 preveda tassativamente la destinazione ad un Centro di lavorazione selvaggina riconosciuto, dove i capi pervengono dopo l’abbattimento sul campo. Occorre segnalare che nel suddetto Regolamento non vi è la distinzione di status tra selvaggina selvatica cacciata e quella abbattuta o catturata in attività di controllo ai sensi dell’art. 19 della L. 157/1992 o dell’art. 7 e 22 della L. 394/1991. Infatti, la terminologia del legislatore europeo distingue esclusivamente tra “selvaggina selvatica” e “selvaggina allevata” (FR: gibier sauvage Vs gibier d’élevage; ENG: wild game Vs farmed game; D: frei lebendes Wild Vs Farmwild; …) ma nel contesto di ogni gruppo non opera differenze fra abbattimento in regime di caccia e di controllo né tantomeno distingue fra abbattimento diretto o cattura.
Ne deriva che al legislatore europeo interessa esclusivamente distinguere le modalità operative tra “selvatici allo stato libero” e “specie selvatiche allevate”, al fine di definire gli aspetti specifici di tutela del benessere nei riguardi di animali abituati allo stato libero e di altri invece dipendenti di fatto dall’uomo. In pratica non è rilevante per l’Unione Europea che un animale vivente allo stato libero possa essere abbattuto o catturato né che l’abbattimento/cattura sia fatto per interesse personale o per finalità di pubblica utilità: ciò che rimane rilevante sono le garanzie per la tutela del benessere animale evitando manipolazioni (situazioni stressogene) inutili e facilmente evitabili.
A tale proposito l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, 2006) ha pubblicato delle linee guida per l’abbattimento di fauna selvatica al fine di limitare ogni situazione di stress legata a manipolazione e trasporto, considerando anche il fatto che la qualità igienico-sanitaria e organolettica del prodotto finale possono essere influenzate negativamente dallo stress.
Pertanto, garanzie per la tutela del benessere di animali selvatici catturati allo stato libero per essere destinati alla filiera della carne di selvaggina sono facilmente assicurabili sviluppando procedure che si muovono all’interno della categoria “selvaggina abbattuta” secondo il Reg. (CE) 853/2004, in base a semplici indicazioni fornite dagli autori all’interno dell’articolo.
L’articolo è scaricabile al seguente link:
Metodi di contenimento del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette: analisi delle normative in Italia con particolare riferimento alla tutela del benessere degli animali catturati. Ferri M., Viganò R., Armaroli E. – Rassegna di diritto, legislazione e medicina legale veterinaria (Nr 3 – Anno 2018)