Nel contesto alpino sempre più frequenti sono le segnalazioni della presenza di singoli soggetti o piccole unità di capre e/o pecore parzialmente o totalmente incustodite.
Recenti sono le notizie nate a fronte della presenza di domestici in alpeggio anche al di fuori del periodo tradizionale, in quanto capi abbandonati o persi, sia in Italia che nel vicino Canton Ticino, e le successive polemiche.
Tale aspetto solleva una serie di problematiche sia di ordine strettamente sanitario ma anche di natura giuridica in relazione al mancato rispetto dei Regolamenti di Polizia Veterinaria e Forestale nonché la definizione della responsabilità civile e penale da parte del proprietario dei capi.
A livello generale va considerato che, in ambiente alpino, la presenza di ruminanti domestici non custoditi può assumere un ruolo prioritario nell’ambito della inter-trasmissione di patologie infettive ed infestive nei confronti di ruminati selvatici a vita libera.
In questo senso ampiamente documentata è la bibliografia in merito alle interazioni sanitarie tra ruminanti domestici e selvatici con particolare riferimento a Mycoplasma conjuntivae della cheratocongiuntivite infettiva e l’acaro Sarcoptes scabiei della rogna sarcoptica, nonché brucellosi ed altre zoonosi.
Inoltre, da un punto di vista genetico la frequentazione delle stesse aree può esser alla base di fenomeni di ibridazione tra esemplari di capra domestica (Capra hircus) e stambecco (Capra ibex) con la nascita di ibridi.
Quali sono le possibili responsabilità legali dei proprietari delle “capre inselvatichite”?
Per quanto riguarda la responsabilità civile, il Codice Civile (art. 2052) stabilisce che il “proprietario o chi ha in uso l’animale” è responsabile dei danni causati dallo stesso, sia che si trovi sotto custodia, sia in caso di smarrimento o fuga, salvo che provi il caso fortuito.
Rispetto alle responsabilità penali tra le altre, l’ipotesi potenzialmente più accreditata è quella della sussistenza del reato di “introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo” (art. 636 del Codice Penale (C.P.) La Corte di Cassazione ha stabilito che si tratta di una figura di reato comune, che può essere commessa da chiunque, infatti, lo stesso art. 636 Codice Penale sanziona sia l’introduzione o l’abbandono di animali, raccolti in gregge o in mandria, nel fondo altrui, demanio compreso, fine a sé stessi, sia la messa in atto delle medesime azioni al fine di far pascolare gli animali nel fondo di altri.
Infine, sempre il terzo comma del medesimo articolo prevede quale aggravante per il colpevole, il pascolo avvenuto, ovvero il danneggiamento del fondo causato dall’introduzione o dall’abbandono degli animali.
Non può trovare applicazione l’art. 672 del Codice Penale, “omessa custodia e mal governo di animali”, in quanto, tale illecito si configura qualora siano coinvolti animali pericolosi, da soma, da tiro o da corsa, tra i quali, a rigor di logica, non rientrano certamente le capre.
Visto che l’argomento trattato sta assumendo una sempre maggior attenzione nell’opinione pubblica ed un’importante rilevanza scientifica, confermata dal crescente numero di pubblicazioni sull’argomento, con questo primo contributo si sta cercando di fare chiarezza sul tema in quanto questi aspetti sono caratterizzati da numerosi interrogativi.
Seguiranno altri contributi a breve finalizzati a chiarire tutti gli aspetti della questione come ad esempio: le capre inselvatichite presenti in ambiente alpino sono da considerarsi specie “selvatiche” o “domestiche”?
Luca Pellicioli in collaborazione con Dott. Davide Brumana (Esperto Diritto Ambientale)